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domenica 5 gennaio 2014

TERAPIE ALTERNATIVE

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LA CURA OMEOPATICA PER L’HERPEX

L’Herpes simplex tipo 1 e 2 e l’herpes zoster sono due degli otto virus che fanno parte del gruppo degli Herpes virus umani. La loro caratteristica è quella di provocare un’infezione che si annida nell’organismo che li ospita restando latente per poi riattivarsi in forma evidente anche dopo molti anni, approfittando dei momenti di stress e debilitazione dell’ospite.
L’herpes simplex colpisce la cute e le mucose e ha due principali localizzazioni, le labbra e i genitali, a seconda del tipo di virus dal quale è sostenuto.
L’herpes simplex tipo 1 (HSV-1) causa una malattia infettiva molto comune denominataherpes labiale. L’infezione viene contratta nell’infanzia per contatto interumano attraverso i baci, il sangue o la saliva. Circa il 90% della popolazione adulta è entrata in contatto con il virus. Dopo il contagio, che può avvenire in modo asintomatico, l’infezione raggiunge i gangli nervosi (addensamenti di cellule nervose disposte lungo i nervi del sistema nervoso centrale o periferico) che innervano l’area infetta. Nella fase della riattivazione il virus cresce nuovamente e attraverso i gangli raggiunge la cute o la mucosa nello stesso punto della precedente manifestazione infettiva. Le recidive del virus si manifestano in presenza di condizioni che riducono la risposta immunitaria del corpo come stress fisico e psichico, mestruazioni, gravidanza o sbalzi ormonali, disturbi gastrointestinali, influenza e raffreddamento. Un’altra causa nota è l’esposizione ai raggi solari o al freddo. L’herpes labiale si manifesta con la comparsa di piccole vescicole dolorose raggruppate in grappoli (comunemente definite “febbri”) localizzate sul margine della mucosa delle labbra. L’eruzione è preceduta da bruciore, prurito e fastidio. Spesso compaiono anche febbricola e tumefazione dei linfonodi cervicali. Le vescicole hanno un contenuto inizialmente sieroso che diventa purulento in seguito; nella fase finale si rompono ed evolvono in croste bruno-giallastre che non lasciano cicatrici. La guarigione completa avviene in circa dieci giorni.
L’herpes genitale è un’infezione causata dall’herpes simplex tipo 2 (HSV-2) che si trasmette prevalentemente per contatto venereo e si presenta più frequentemente nel sesso femminile. La maggior parte degli individui non sa di aver contratto il virus poiché non manifesta nessun sintomo al momento della prima infezione e non ha quindi modo di evitare di contagiare una persona con la quale entra in un intimo contatto. I sintomi dell’infezione primaria sono più acuti e gravi rispetto alle recidive. Il virus si manifesta con la comparsa di vescicole raggruppate e vicine tra loro che si aprono formando delle ulcere dolorose. La sede dell’infezione sono i genitali, il retto, le cosce e le natiche. L’eruzione è accompagnata da febbre alta, malessere, prurito, bruciore, disturbi urinari, tumefazione dei linfonodi inguinali, leucorrea, spossatezza, difficoltà nella defecazione. I sintomi possono durare fino a venti giorni e nella fase finale le lesioni evolvono in croste senza alcun esito cicatriziale. Come per la forma labiale, anche nella forma genitale il virus resta latente nell’organismo. La riattivazione produce sintomi più lievi e brevi rispetto alla fase primaria e si presenta con prurito nella zona genitale, bruciori al glande e al prepuzio (nell’uomo) e alle piccole e grandi labbra (nella donna) mentre le vescicole dolorose compariranno nelle zone colpite dall’infezione precedente. Sia nell’uomo che nella donna è presente dolore durante il coito. Molte persone sono soggette a recidive frequenti dovute a fattori scatenanti specifici quali forti stress fisici ed emotivi, fase mestruale, brusco calo delle difese immunitarie.
L’herpes zoster, meglio conosciuto come “fuoco di Sant’Antonio” è una dermatosi di origine virale causata dallo stesso virus della varicella zoster (VZV) che fa parte della famiglia degli Herpes virus. La varicella rappresenta l’infezione primaria che, una volta comparsa, produce un’immunità permanente e quindi non può essere nuovamente contratta. A seguito della varicella il virus rimane latente nell’organismo e si annida nelle cellule nervose. In particolari condizioni il virus si riattiva raggiungendo la sede cutanea innervata dal ganglio nervoso dove si era nascosto. Il contagio del virus avviene per via aerea o per contatto diretto con le vescicole ma può scatenare esclusivamente la varicella nei soggetti che non l’hanno avuta in precedenza. L’infezione si manifesta con chiazze edematose su cui compaiono vescicole che si dispongono a grappoli formando una “cinta di fuoco”: da questa caratteristica deriva il termine zoster che significa, appunto, cintura. Le comparsa delle vescicole è accompagnata da intenso prurito e dolore vivo e urente dovuto all’infiammazione del nervo coinvolto nella lesione. L’eruzione dura dalle due alle quattro settimane ed è preceduta da malessere generale, febbre, disturbi gastrointestinali e dolori nevralgici. Il liquido contenuto nelle vescicole è prima limpido e poi purulento, a volte anche emorragico. In seguito compaiono le croste che nella fase finale cadono lasciando delle piccole chiazze cutanee.
Le lesioni compaiono sempre in un solo lato del corpo e nelle zone corrispondenti alle radici nervose maggiormente colpite dal virus ovvero i nervi intercostali (zoster toracico) e il nervo trigemino (zoster oftalmico). Possono interessare anche il viso, il bacino, la nuca e le braccia. La malattia colpisce in particolare le persone adulte e si riattiva in seguito ad intossicazioni, infezioni, malattie del sistema nervoso centrale e in tutte quelle condizioni di grave debilitazione organica legata a forti stress psicofisici. I soggetti molto indeboliti possono manifestare una grave e dolorosa nevralgia post –erpetica, soprattutto in età avanzata.
Tutte le manifestazioni descritte per le tre differenti forme di herpes hanno una chiave comune, la riattivazione del virus legata a forti stress emotivi. Il fenomeno non deriva esclusivamente dal brusco calo di difese conseguente al periodo stressante ma anche dal significato simbolico racchiuso in quell’evento emotivo specifico. L’Herpes simplex, ad esempio, rappresenta il bisogno di una pausa dopo un forte coinvolgimento, sia nell’ambito affettivo che in quello lavorativo. La forma labiale si presenta in tutte quelle situazioni nelle quali il soggetto si è completamente immerso con amore, energia e passione ma dove non c’è stato spazio per una pausa fondamentale per il recupero delle energie. Il virus può riattivarsi, ad esempio, all’inizio di una storia d’amore o mentre si è in una fase di cambiamento che sottopone la persona ad un “surmenage energetico”. La valenza simbolica dell’herpes è dimostrata anche dalle zone del corpo che il virus “sceglie” per manifestarsi: le labbra e i genitali sono sede di scambi stretti e intensi. Nel momento in cui il coinvolgimento emotivo è molto forte il virus avverte il soggetto rendendo manifesto il problema e utilizzando il dolore come un segnale per rallentare. Il bruciore e il prurito rappresentano, invece, l’eccesso di energia impiegata.
La forma labiale può simboleggiare differenti situazioni emotive importanti tra le quali il lutto; chi ha subito una grave perdita manifesta con l’infezione la rabbia e il dolore profondo che non sono stati esternati con il pianto e le parole. L’herpes genitale, per la sua localizzazione specifica, ha una chiara origine emotiva legata alla sessualità e alla coppia. L’infezione può anche rappresentare una carica erotica inespressa ma più spesso è legata ad un conflitto presente nella relazione di coppia, ad un disagio non accolto e sciolto che viene “covato” dentro generando dolore, tristezza e turbamento.
L’iter sintomatologico dell’herpes zoster svela la sua valenza simbolica. L’infezione latente corrisponde ad un conflitto profondo rimosso dalla coscienza che riemerge, improvvisamente e in maniera violenta, quando nella vita di quella persona accade qualcosa legata a quel vecchio conflitto: una passione non corrisposta, una separazione non elaborata, una contrarietà inespressa, una routine matrimoniale insostenibile, un prolungato abuso di pazienza e tolleranza. Lo zoster, approfittando di un momento in cui le difese abbandonano il controllo, trova il modo di far emergere quel conflitto attraverso un “urlo di fuoco” che viene dal profondo. Anche la sede del corpo colpita dal virus ha un preciso significato: se l’eruzione appare sul volto il conflitto è legato all’ambito creativo e professionale, se esso rappresenta la sfera nella quale il soggetto si identifica di più. Se viene colpita la zona toracica il vissuto traumatico si riferisce all’ambito affettivo e sentimentale mentre la zona addominale è legata al mondo degli istinti, della sessualità e dell’aggressività. Il soggetto tipico che si ammala di herpes zoster è colui che non ha elaborato vissuti ed eventi negativi. In genere sono persone che hanno una grande difficoltà ad esprimere il dolore, le mancanze, il disagio e le emozioni profonde. Nella recidiva il virus riattiva uno schema inconscio latente e cristallizzato da molto tempo, ecco perché l’infezione compare spesso nella seconda metà della vita di una persona.
I fenomeni erpetici possono manifestarsi in maniera sporadica o essere ricorrenti affliggendo il paziente con continue recidive come spesso accade, ad esempio, nell’herpes genitale.
Il trattamento omeopatico interviene in modo diverso rispetto alla terapia allopatica: i rimedi non agiscono solo sulla sintomatologia ma consentono di evitare la manifestazione erpetica, di ridurne la durata e di prevenire la recidiva. Rimedi per l’herpes labiale L’herpes labiale può essere trattato sia nella fase iniziale che nella piena fase acuta dell’eruzione. Nella fase iniziale e come prevenzione il rimedio indicato è Vaccinotoxinum che va somministrato in una dosa unica (200 CH). Apis mellifica è il rimedio adatto alla fase prevescicolare dell’herpes simplex, quando compare un senso di pizzicore associato ad una lieve tumefazione rosata. I dolori sono pungenti e brucianti e si aggravano con il caldo e il contatto e migliorano con le applicazioni fredde. La sua azione è rapida ma breve ed è consigliabile utilizzare potenze non troppo basse (9 o 15 CH) da assumere con frequenza diradando le somministrazioni in base al miglioramento. Rimedi sintomatici: Cantharisviene utilizzato quando l’herpes labiale bolloso compare dopo l’esposizione prolungata ai raggi solari. Le vescicole si manifestano sul viso e attorno alle labbra e sono pruriginose e brucianti al tocco. Il sintomo si aggrava con il contatto e migliora con le applicazioni fredde come apis. Rhus toxicodendron è il rimedio d’elezione nella cura dell’herpes, sia per il simplex che per lo zoster. Nella forma labiale viene utilizzato per l’eruzione caratterizzata da vescicole “a capocchia di spillo” disposte su fondo arrossato, accompagnate da dolore e prurito che peggiora grattandosi. Il rimedio cura le infiammazioni cutanee molto severe anche a livello dei genitali maschili e femminili. Graphites si prescrive per quella forma di herpes doloroso e bruciante con secrezione di liquido giallastro e vischioso simile al miele; spesso compare nella fase premestruale. Il soggetto è triste, stitico e obeso e tutti i sintomi peggiorano con il calore. Sepia interviene nella forma labiale recidivante che compare periodicamente durante la mestruazione o nella fase premestruale. Per questa azione specifica viene solitamente utilizzata una potenza più alta, la 30 CH. Se la lesione si infetta procurando dolorabilità al contatto viene prescritto hepar sulfur alla 30 CH. In questo rimedio le alte potenze servono ad arrestare la suppurazione. Rimedi per l’Herpes genitalePer la forma genitale possono essere utilizzati alcuni dei rimedi sintomatici descritti per la forma labiale come apis, rhus toxicodendron e graphites. La terapia omeopatica viene studiata principalmente per ridurre e affrontare le recidive. Borax si prescrive per l’herpes genitale che si manifesta con piccole vescicole brucianti contenenti un liquido biancastro. Il rimedio è indicato per una persona ansiosa e aggressiva che sobbalza al minimo rumore e teme le malattie; spesso alterna depressione ad irritabilità. Natrum muriaticum cura l’herpes labiale e quello genitale che compare soprattutto intorno all’ano. Le recidive sono scatenate da esposizione al sole, da stress, febbre, affaticamento e contrarietà. Il soggetto è rancoroso, fortemente depresso e non tollera di essere commiserato; rimugina sul passato e ha un umore mutevole. Nella donna la depressione si aggrava prima delle mestruazioni. Croton tiglium interviene in presenza di ulcere genitali che contengono un liquido inizialmente trasparente e in seguito purulento. Quando le vescicole si rompono si coprono di una crosta giallastra. Il prurito è molto forte ma il paziente teme di grattarsi poiché la pelle è ipersensibile e il contatto provoca un forte dolore. Le eruzioni che tendono alla suppurazione e all’ulcerazione vengono trattate con mercurius solubilis; le lesioni generano un forte prurito che peggiora la notte.
Sarsaparilla è utile nelle eruzioni erpetiformi umide localizzate principalmente nella regione genitale accompagnate da prurito generalizzato. Il soggetto è fortemente intossicato e ha reazioni deboli.
Rimedi per l’herpes zoster Il trattamento omeopatico dell’herpes zoster prevede dei rimedi diversi in base alla fase per la quale vengono prescritti.
Molti dei rimedi descritti per il simplex sono adatti anche per lo zoster (cantharis, croton tiglium, rhus toxidodendron) mentre quello d’elezione per questa infezione è Thuya e va somministrato come terapia di fondo alla 30 CH due volte al giorno. Come per la forma labiale, anche per lo zoster è utile somministrare apis mellifica nelle prime fasi dell’eruzione caratterizzate da edema rosato con dolori trafittivi e brucianti che migliorano con le applicazioni fredde. Il rimedio può essere somministrato anche ogni 10 minuti nella fase acuta. Arsenicum album si prescrive per i dolori brucianti con peggioramento notturno (tra l’1 e le 3) che migliorano con le applicazioni calde. Il paziente è debole, prostrato, ansioso e angosciato. Il rimedio è indicato anche per le forme di nevralgie e paralisi post-erpetiche.
Mezereum è uno dei rimedi maggiormente utilizzati nella cura dello zoster caratterizzato da vescicole brucianti contenenti liquido biancastro che evolvono in croste. Il disturbo si aggrava di notte con il contatto e la pressione. La localizzazione è prevalentemente facciale o intercostale. Il rimedio è indicato soprattutto quando i dolori tendono a cronicizzare.
Ranunculus bulbosus cura lo zoster caratterizzato da vescicole bluastre che si localizzano al torace accompagnate da forti nevralgie intercostali che perdurano anche dopo la fase acuta. I dolori sono trafittivi e peggiorano con il movimento, il contatto e la pressione. Ai rimedi sintomatici descritti viene associato Hypericum perforatum. Il rimedio ha un’azione elettiva sui traumi delle terminazioni nervose che procurano dolori intensi (come mezereum), lancinanti e intollerabili lungo tutto il decorso del nervo che attraversa la zona colpita dall’eruzione.
È importante ricordare che le potenze descritte sono solo indicative; la prescrizione dei rimedi va sempre affidata al medico curante che stabilirà la terapia più adatta, sia per la forma acuta della malattia che per il trattamento delle recidive.


LA TERAPIA OMEOPATICA PER LA SINUSITE

Che cos’è
La sinusite è una delle malattie più comuni. Consiste nell’infiammazione della mucosa di uno o più seni paranasali. Se tutte le cavità sono coinvolte si parla di pansinusite. Di solito la sinusite compare in seguito a un’infezione della cavità nasale, ma anche il nuoto, i tuffi, le lesioni o fratture delle ossa che delimitano i seni paranasali o un’infezione di un dente dell’arcata superiore, soprattutto il canino, possono causare la patologia. Alcune malformazioni congenite, come la deviazione del setto nasale, possono essere causa di sinusite.
Sintomi
I sintomi comuni sono: ostruzione nasale, secrezione di muco dal naso verso l’esterno o nel retrobocca, sensibilità cutanea sopra al seno paranasale interessato, forte cefalea, febbre e voce di timbro nasale. Quando un raffreddore persiste per più di una settimana e sono presenti i sintomi caratteristici si parla di sinusite. La diagnosi viene confermata anche da altri esami, per esempio quello radiologico.
Terapia
Il miglioramento del drenaggio nasale del seno ed il controllo dell’infezione sono gli scopi della terapia. L’inalazione di vapore provoca una efficace vasocostrizione nasale e promuove il drenaggio. I vasocostrittori topici come la fenilefrina sono efficaci ma devono essere usati per un massimo di 7 gg. Gli antibiotici devono essere somministrati per almeno 10-12 gg. ed il tipo di antibiotico viene scelto in base all’esame colturale.Per il dolore e la febbre si può ricorrere al paracetamolo o all’acido acetilsalicilico. La sinusite che non risponde alla terapia antibiotica può richiedere un intervento chirurgico per migliorare la ventilazione ed il drenaggio attraverso la rimozione del materiale mucopurulento condensato e dei detriti epiteliali.
La sinusite è un’infiammazione dei seni paranasali, spazi vuoti che svolgono la funzione di filtrare, inumidire e riscaldare l’aria che si respira. I seni sono spesso soggetti ad infezioni causate da diversi fattori: allergie, variazioni della pressione atmosferica, infezioni dentarie, difetti di struttura del naso (condotti non correttamente strutturati), polipi nasali. 
L’infiammazione può essere causata da virus o batteri. La mucosa infiammata si gonfia bloccando il drenaggio e la conseguenza è un accumulo di secrezione o pus (come nel caso della sinusite purulenta) che impedisce il regolare passaggio dell’aria. Questo determina la sintomatologia tipica della sinusite acuta, cioè una forte cefalea accompagnata da un senso di peso, soprattutto mattutino, causato dalla congestione nasale. L’infiammazione e il dolore che ne derivano colpisce diverse sedi: ad esempio, quando la sinusite è mascellare il dolore si irradia al nervo sovra-orbitario e alla guancia. Quella frontale provoca la tipica cefalea da sinusite che parte dalla radice del naso e si irradia all’angolo interno dell’orbita. La sinusite viene distinta in due forme: acuta ecronica. La forma acuta somiglia ad un forte raffreddore e i sintomi principali sono cefalea acuta e pulsante, dolore al volto e alla radice del naso che talvolta si estende anche all’orbita dell’occhio, ostruzione nasale. Può esserci anche febbre, soprattutto nella forma purulenta. Tutte le forme acute non curate correttamente causano una forma cronica e recidivante che in base ai diversi fattori scatenanti (virulenza dei germi, freddo e sbalzi termici, reazione individuale, diverso posizionamento dei seni) variano nella sede (mascellare, frontale ecc) e per gravità. I dolori nella forma cronica sono di tipo nevralgico con senso di peso e fastidio locale accompagnati spesso da sensazione di cattivo odore. Quando la sinusite diventa cronica è più facile il rischio di riacutizzazioni e complicazioni.
L’interpretazione psicosomatica della sinusite è piuttosto complessa. Il muco simboleggia la creatività del soggetto, la sessualità e la spiritualità. Quando queste energie emotive sono bloccate dalle insicurezze e non riescono ad esprimersi nelle relazioni, sintomi come il naso chiuso e mancanza dell’olfatto sono il simbolo della riduzione degli scambi con il mondo esterno. Inoltre il muco occupa le cavità che servono ad alleggerire la testa ma anche a dare risonanza alla voce. Il risultato è un’energia inespressa che genera la tipica sensazione di pesantezza della testa. La voce perde la sua cassa di risonanza e diventa debole, simboleggiando così una minore forza comunicativa. La sinusite acuta si manifesta non a caso dopo un periodo in cui una forte carica energetica non è stata espressa e ha creato un disagio che il paziente è riuscito a manifestare solo in parte. La forma cronica, invece, rappresenta un’incapacità (definita cronica appunto) di esprimere le parti migliori di sé e di restare in contatto con esse e con il proprio intuito.
L’omeopatia è di grande aiuto nella cura della sinusite. La maggior parte dei rimedi utilizzati intervengono contemporaneamente nella forma acuta e cronica poiché spesso hanno un’azione profonda anche sul terreno che determina l’infiammazione. Le potenze più indicate sono quelle basse (dalla 5 alla 30 CH) ma per alcuni rimedi devono essere valutate bene le caratteristiche dei sintomi per individuare la potenza adatta. Il paziente dovrà sempre affidarsi al medico curante che, dopo un’accurata indagine sugli esami clinici e sui sintomi raccontati dal paziente, potrà stabilire quale siano i rimedi e le potenze più adeguate.
Belladonna è il rimedio più usato nelle sinusiti ed indicato quando le sindromi infiammatorie sono associate alla febbre. Il sintomo tipico di belladonna è la cefalea congestizia pulsante accompagnata spesso da vertigini e fotofobia. Il dolore peggiora inclinandosi in avanti e migliora dopo il riposo, con la pressione forte e con il calore.
Kalium Bichromicum si utilizza nelle sinusiti mascellari o frontali. Le secrezioni sono gialle–verdastre, a volte sanguinolente, vischiose, abbondanti e filanti e vengono espulse con grande difficoltà. Questo determina la comparsa di forti dolori e senso di pressione alla radice del naso, ostruzione nasale, perdita olfattiva. Tipiche di questo rimedio sono le nevralgie che si ripetono con cadenza periodica (ad esempio ogni giorno o in un determinato orario). I sintomi si scatenano e sono aggravati dal freddo-umido; peggiorano in autunno e in primavera.
La presenza di una forte secrezione con le stesse caratteristiche si ritrova anche inHydrastis Canadensis. Tipica del rimedio è una rinorrea posteriore: la secrezione scende e raggiunge la gola. Spesso è presente una tosse secca accompagnata da raucedine ed espettorato giallo-verdastro. Il paziente ha dolori nella sede frontale e tutti i sintomi peggiorano con il freddo e all’aria aperta.
Anche Lachesis soffre di cefalee congestizie (soprattutto sovra-orbitali) e dolori alla radice del naso. Il rimedio viene prescritto quando i sintomi si manifestano in seguito alla brusca interruzione della secrezione. Lachesis scioglie il muco e facilita il drenaggio.
Hepar sulfur è indicato per le sinusiti croniche con secrezione purulenta e maleodorante. La suppurazione è di difficile drenaggio e questo scatena sintomi come dolori frontali e alla radice del naso che peggiorano con il freddo. Anche Hepar è indicato nei disturbi periodici, ad esempio nelle sinusiti che si presentano ad ogni inverno o sempre nello stesso periodo. Con Hepar si può vedere come intervengono diversamente differenti potenze dello stesso rimedio. Le potenze medio-basse favoriscono il drenaggio della suppurazione mentre quelle alte arrestano o riassorbono la suppurazione. Questa dinamica riferita alla scelta delle potenze si applica anche ad altri rimedi, come Hydrastis ad esempio.
Silicea cura una forma di sinusite frontale e mascellare cronicizzata che si presenta come un raffreddore perenne. Il paziente soffre di cefalea e ostruzione cronica, si ammala spesso di raffreddori nella stagione fredda. La cefalea di Silicea è intensa con sensazione che la testa stia per esplodere, infatti migliora stringendo una benda intorno al capo. Spesso il dolore si concentra su un occhio.
Pyrogenium è l’equivalente di un antibiotico in forma omeopatica; interviene in tutti i processi infettivi acuti e cronici di origine batterica o virale. Utilizzato mattina e sera nella fase acuta blocca o fa regredire la suppurazione. Viene spesso seguito dalla somministrazione di Hepar sulfur (con potenza più alta, 15-30 CH). Altri sintomi di Pyrogenium sono forte spossatezza, stato di prostrazione e febbre.

FITOTERAPIA E DOLORE

Il dolore è uno dei segnali che utilizza il nostro corpo per comunicare che “qualcosa non va”. La percezione del dolore è soggettiva, ovvero individui differenti hanno soglie di sopportazione diverse. Per combattere il dolore esistono differenti rimedi che provengono sia dalla farmacopea classica che, anche se forse in misura minore, dal mondo dell’erboristeria. Uno sguardo al primo dei due insiemi non potrà non perdersi nell’imbarazzo della scelta; meno conosciute sono invece le piante che possiedono proprietà antidolorifiche naturalie che danno origine a rimedi che possono rappresentare una valida alternativa alla medicina di sintesi nell’affrontare stati dolorosi, specialmente se lievi, senza alcun effetto collaterale. È però fondamentale una raccomandazione: ogni dolore è collegato a qualche scompenso dell’organismo, ecco perché è bene non sottovalutare alcun episodio doloroso, specialmente quando ricorrente. L’abuso di antidolorifici, oltre a causare gravi danni all’organismo, può mascherare i sintomi di una patologia ritardandone così la diagnosi. Per la risoluzione definitiva di una problematica dolorosa, oltre che affidarsi all’ausilio di un farmaco antidolorifico, è importante agire sulla causa del dolore. È questo il modus operandi prediletto dall’arte erboristica.
Mal di testa Il mal di testa, soprattutto quando ricorrente, può diventare un incubo per chi ne soffre. Come in tutti i casi a cui si farà riferimento, prima di affrontare un percorso terapeutico è fondamentale capire cosa provochi il dolore, condizione preliminare all’individuazione della pianta da utilizzare come rimedio. Ciononostante, anche in fitoterapia esistono rimedi antidolorifici tout court.
Un’apprezzabile attività analgesica è posseduta da tanaceto partenio. Si tratta di una composita che possiede proprietà antidolorifiche che può essere utilizzata indipendentemente da quale sia la causa dell’affezione. Il tanaceto può essere per questo paragonato ad un normale farmaco generico contro il dolore. Di questa droga esistono tinture madri o prodotti preconfezionati in compresse. Meno semplice da trovare in commercio è la pianta secca che può essere utilizzata per confezionare tisane. Se il mal di testa è determinato da problemi articolari e cervicali, il consiglio è di intervenire con massaggi locali avvalendosi di pomate contenenti piante dall’azione antinfiammatoria o utilizzare unguenti dall’azione riscaldante. In questi casi possono essere di giovamento piante che solitamente vengono impiegate come antinfiammatori per problematiche osteoarticolari, la più nota è l’artiglio del diavolo da assumere anche per via orale. Spesso il mal di testa è causato dalla sinusite. Affrontare questo genere di affezione mediante la fitoterapia, però, può rivelarsi complesso. Quando si parla di sinusite, infatti, ci si riferisce ad una situazione ormai cronicizzata. Per affrontare il problema è necessaria quindi una terapia lunga che non può portare alla risoluzione del sintomo (il mal di testa) nell’arco di breve tempo. Mentre quindi si allevia il dolore con l’ausilio di rimedi analgesici ma non risolutivi (anche naturali) si può affrontare la patologia avvalendosi dell’aiuto di tutte le piante generalmente impiegate in caso di raffreddore, droghe dalle proprietà balsamiche come menta ed eucalipto per dei fumenti. Sempre contro il mal di testa si rivela ottimo il gemmoderivato di ribes nigrum associato al carpinus betulus (anch’esso un derivato, per ottenere il quale si usano le gemme del carpino). Il ribes nigrum è un potentissimo antinfiammatorio la cui azione è paragonabile a quella del cortisone. Molto interessante si rivela il ruolo del carpinus betulus, una pianta inserita nella miscela per la sua “azione dirigente”. Questo genere di pianta indirizza l’azione del ribes sulla parte del corpo dove è necessario che esso espleti la sua azione. Nella fattispecie, il carpinus ha come organo bersaglio proprio la testa. Quello del carpinus non è un caso isolato: in erboristeria esistono svariate piante, o loro derivati, utilizzate non tanto per la loro azione specifica quanto per il loro tropismo d’organo. Derivati come pinus montana o vitis vinifera, ad esempio, concentrano l’azione delle droghe alle quali vengono accoppiate sulle articolazioni e vengono utilizzati principalmente quando infiammazioni a carico di queste ultime provocano stati dolorosi. In ogni modo, ad oggi, il tanaceto partenio rimane il rimedio d’emergenza migliore, soprattutto quando non si conosce l’origine del dolore.
Dolore mestruale Contro il dolore mestruale un rimedio naturale è rappresentato dallevistico: la pianta è utilizzata sotto forma di tintura madre da assumere nella dose di 20/30 gocce per volta ogni 2/3 ore fino a scomparsa dei sintomi. È una droga ad azione spasmolitica a livello uterino che trova impiego in questa come in altre situazioni dolorose a carico dell’apparato. A seconda poi del tipo di mestruazione, esistono differenti droghe che possono essere associate al levistico: quando questa è caratterizzata da un flusso abbondante, in associazione al levistico è consigliato assumere l’achillea; nei casi in cui invece la mestruazione risulti scarsa al levistico è consigliato associare l’angelica sotto forma di tintura madre, una droga che favorisce l’aumento del flusso e che a sua volta possiede proprietà spasmolitiche. La verbena officinalis è una pianta che trova impiego in entrambe le situazioni: essa regolarizza la portata del flusso ed esercita un’azione antispastica che contribuisce a limitare il dolore derivante dal ciclo mestruale.
Dolori muscolari o articolari Quando un dolore diventa una vera e propria persecuzione, il ricorso a farmaci antidolorifici può diventare molto frequente. In questi casi, più di tutti gli altri là dove è possibile, risulta vivamente consigliato preferire rimedi naturali; l’uso prolungato di farmaci di sintesi infatti può rivelarsi dannoso. Contro il dolore articolare, la pianta più impiegata in erboristeria è l’artiglio del diavolo. Esso è ricco di arpagosidi che conferiscono alla droga un valido potere antidolorifico. Stesse sostanze sono contenute anche dall’eufrasia anche se in quantità molto inferiore. L’artiglio del diavolo dà ottimi risultati in tutte le forme di dolore osteoarticolare ma anche sul mal di testa quando questo è di origine cervicale. L’eufrasia invece viene utilizzata per confezionare colliri antinfiammatori per gli occhi. L’incenso (la boswelia), una pianta antichissima conosciuta ai più principalmente per il suo ruolo nelle cerimonie religiose, è un ottimo rimedio soprattutto nel caso di dolori provocati da malattie autoimmuni come artriti reumatoidi. La varietà più utilizzata è la boswelia serrata, una droga di derivazione indiana. Attenzione però: l’incenso però non può essere utilizzato come rimedio d’emergenza, la sua assunzione deve essere inquadrata all’interno di una cura prolungata nel tempo. La droga infatti riduce l’incidenza e l’intensità degli attacchi ma la sua assunzione deve essere continuativa e regolare. Dell’incenso si utilizzano le tisane, le tinture madri e gli estratti secchi. Contro l’artrosi una pianta eccezionale è l’equiseto, una droga che agisce indirettamente sul dolore. La pianta, infatti, possiede proprietà rimineralizzanti. Stimolando la rigenerazione del collagene, riduce la sintomatologia agendo sulla causa. L’equiseto si rivela utile soprattutto quando la degenerazione della cartilagine che riveste la capsula è ancora in uno stadio iniziale. La droga – per ottenere questo genere di azione – deve essere assunta in forma solida, sotto forma di polvere o estratto secco. La tintura madre di equiseto è invece impiegata come rimedio contro la pressione alta per le sue proprietà diuretiche. Secondo la visione erboristica tradizionale, il dolore è lo specchio di qualcosa che il corpo cerca di espellere e l’azione delle piante deve volgere a questo piuttosto che mirare unicamente alla soppressione del sintomo. In tal senso un grande aiuto arriva da tutte le droghe che possiedono proprietà riscaldanti. Attenzione però, questo discorso non vale per dolori derivanti da strappi muscolari o infiammazioni simili; in questi casi al contrario, l’approccio terapeutico deve mirare al raffreddamento della parte lesa. In entrambi i casi in ogni modo possono rivelarsi molto utili le argille (da applicare sulla zona dolorante fredde o calde a seconda del disturbo). Per la cura di uno strappo muscolare un rimedio efficace è rappresentato da un bendaggio che mantenga fermo l’arto leso, meglio se praticato con fasciature imbevute di sostanze naturali che contribuiscano a velocizzare la cicatrizzazione e la riparazione. L’arnica in questi casi si rivela ottima. La droga è però altamente gastrolesiva, e quindi non deve essere in nessun caso assunta per via orale se non in formulazioni omeopatiche. La droga viene utilizzata dall’arte erboristica unicamente per via topica e su pelle integra; di fronte ad una lesione cutanea è fortemente raccomandato evitare l’applicazione di prodotti a base di arnica. Un’azione più blanda rispetto all’arnica ma efficace e assolutamente innocua possiede la margherita comune(bellis perennis): essa ha principi simili alla prima, anche se la concentrazione di questi al suo interno è nettamente più bassa. La margherita comune – che possiede anche proprietà riepitelizzanti – può essere utilizzata sotto forma di tintura madre; altra soluzione è utilizzare i fiori della pianta per preparare infusi con i quali poi fare impacchi sulla parte lesa. Essa è priva di tossicità e quindi può essere utilizzata anche su pelle non integra. Di fronte quindi a una lesione muscolare in presenza di un’escoriazione cutanea, il consiglio è quello iniziare il trattamento terapeutico avvalendosi di preparati a base di margherita comune e poi, una volta guarita la ferita superficiale, proseguire la cura avvalendosi di creme contenenti arnica.
Antidolorifici naturali per le più svariate affezioni Come antidolorifici naturali in generale sono utilizzate tutte le piante ricche di salicilati, la più nota è la spirea (pianta che ha dato il nome ad uno dei più noti farmaci di sintesi). Essa contiene acido salicilico, una sostanza molto poco stabile in acqua: la tisana a base di spirea, quindi, una volta preparata deve essere consumata nell’arco di pochi minuti. Se dalla spirea si mira ad ottenere un’azione antidolorifica, il preparato da prediligere rimane quello solido (il riferimento è a prodotti già confezionati). La tintura madre di spirea invece è utilizzata come diuretico uricemico. La droga ha proprietà fluidificanti del sangue, è quindi poco indicata nelle donne durante il ciclo mestruale quando esso risulta già molto abbondante. La spirea contro il dolore può essere utilizzata in tutti i casi in cui si utilizzerebbe l’equivalente farmaco di sintesi. Il riferimento, quindi, è a stati dolorosi come il mal di testa, dolori articolari, raffreddori e via dicendo, ma con un vantaggio in più: l’azione gastroirritante della spirea è nettamente inferiore a quella dell’acido acetilsalicilico, ingrediente fondamentale di medicine di derivazione chimica. Sempre per combattere stati dolorosi generici, degno di nota è l’unguento populeo, un rimedio di antichissima derivazione, risalente a Galeno, ottenuto mediante le gemme del pioppo (altra fonte ricca di salicilati). Oggi l’unguento viene ancora prodotto ed è un prodotto antinfiammatorio che si trova già confezionato in erboristeria.
Proprietà antinfiammatorie e immunostimolanti sono possedute dall’uncaria tomentosa, una pianta curativa originaria del Sud America. L’uncaria, come anche l’artiglio del diavolo, è un potente antidolorifico e agisce sulla sintesi dei mediatori dell’infiammazione. Laboswelia invece agisce invece principalmente sulla risposta infiammatoria immunomediata, essendo un immunomodulatore diminuisce la risposta infiammatoria. Non si può, poi, non parlare della curcuma, una pianta dalle proprietà antinfiammatorie di recente introduzione nel mercato occidentale ma con una tradizione d’uso antichissima in India. Essa agisce sul dolore svolgendo il compito di potente drenante del calore interno. Azione lenitiva ha anche l’aloe vera. Il gel di aloe applicato come cicatrizzante su lesioni della pelle, in particolare delle mucose interne, oltre a velocizzare molto il processo di guarigione, contribuisce a togliere il dolore. A ben vedere l’aloe non ha però una specifica azione antinfiammatoria né antidolorifica ma, lavorando velocemente sulla causa, agisce rapidamente anche sul sintomo. Contro i dolori addominali una delle piante di uso erboristico più diffuse è l’escolzia, una papaveracea di origine americana: tra le piante appartenenti alla famiglia degli oppiacei di libera vendita è la migliore. Può essere utilizzata, ad esempio, in caso di forti coliche addominali. Infine, degno di menzione, è un rimedio antichissimo e molto noto, soprattutto tra le persone anziane: contro il mal di denti e il dolore causato dalla carie, azione antidolorifica eccezionale è posseduta dai chiodi di garofano. In caso di mal di denti è possibile appoggiare sul dente un chiodo di garofano per permettere alla droga di rilasciare sulla parte le sue componenti analgesiche. Esse interverranno sul nervo, addormentandolo e calmando il dolore. Contro il dolore gengivale invece preferire degli impacchi di malva, da fare o con un infuso ottenuto con la droga ma anche utilizzando direttamente le foglie della pianta.

CRITICHE AI METODI OMEOPATICI

Milioni di persone si “curano” ogni anno con l’omeopatia ma pochi di loro sanno esattamente da cosa è composto il miracoloso granulo che ingeriscono. Sanno che non provoca effetti collaterali e favorisce l’”autoguarigione”, che si tratta di una terapia alternativa e che in questo modo non si arricchiscono quei biechi speculatori di Big Pharma. Poco importa che l’omeopatia sia nata in un’epoca in cui non erano ancora stati scoperti i batteri e che da allora è rimasta immobile. Un po’ come le religioni, atemporali e impermeabili al progresso, l’omeopatia riesce a conquistare le masse indipendentemente dalla sua consistenza teorica e pratica. Nessuno studio scientifico è mai riuscito a dimostrare la sua efficacia, le persone continuano a crederci con cieca passione, nonostante si tratti di una disciplina non plausibile. Naturalmente l’omeopatia non va confusa con la fitoterapia. Quest’ultima sfrutta i principi attivi delle erbe a scopo terapeutico (come la gran parte dei farmaci) ed è giudicata efficace dalla stessa medicina moderna. Al contrario, nelle pillole omeopatiche il principio attivo è assente. Le diluizioni infinitesimali dell’ingrediente originale, in alcuni casi fino alla potenza di 200 – un numero che supera la quantità di atomi presenti nell’universo – rende qualsiasi prodotto omeopatico niente più che un placebo. Arnica montana, nux vomica, iniatia amara, sambucus nigra e altri simpatici rimedi della nonna smerciati a peso d’oro come prodotti da banco sono in realtà nient’altro che acqua fresca. Se non ci credete, provate far analizzare una confezione qualsiasi da un laboratorio e osservate i risultati. Fondata all’inizio dell’800 dal medico tedesco Samuel Hahnemann, l’omeopatia segue il suggestivo principio di similitudine del farmaco: per curare un malato sarebbe sufficiente somministrare una dose altamente diluita della sostanza che ha provocato la malattia: più la dose è diluita, più la cura sarà efficace. Il prodotto si ottiene sciogliendo una parte della sostanza di base in cento parti d’acqua, poi si agita la miscela e ripetere il procedimento altre decine e decine di volte. Lo scuotimento dei flaconi viene pomposamente chiamato “succussione” e servirebbe nientemeno che a “dinamizzare” il medicinale “energizzandolo”. Un lessico pseudoscientifico dal retrogusto new age che in verità non ha alcun significato medico. Basta un corso di chimica elementare per capire che una sostanza diluita oltre il 12esimo centesimale in una soluzione liquida dà luogo a un prodotto che non contiene nessuna molecola della sostanza originale. Ce lo spiega il cosiddetto numero di Avogadro, un principio della chimica insegnato (male) in tutte le scuole superiori e universalmente riconosciuto. All’epoca di Hahnemann la medicina brancolava ancora nel buio con i malati che venivano ancora curati con i salassi e le iniezioni di piombo: si può capire che la comunità scientifica prestasse attenzione anche a pratiche magiche come l’omeopatia. Quel che stupisce è il successo che essa ha ottenuto lungo i secoli in particolare tra le classi medie e istruite delle società occidentali. Quando ne vengono svelati gli pseudo-principi molti consumatori non vogliono crederci, restano stupiti. Altri si irrigidiscono, affermando che la comunità medico-scientifica lavora soltanto per i profitti delle multinazionali, che la medicina alternativa è osteggiata per motivi di interesse economico, che, anche se avesse ragione, la scienza non può spiegare tutto e che i granuli funzionano, punto e basta: una zia che ha curato la tendinite, un nipote che è guarito dall’asma, un vicino di casa che ha sconfitto la sinusite stanno là a testimoniare la malafede di dottori e scienziati e le virtù taumaturgiche degli omeopati. Un’aneddotica priva di riscontri scientifici ma che trova nella vox populi di internet un fertile terreno di coltura e propaganda. Anche in seguitissime rubriche di quotidiani nazionali come Repubblica e La Stampa noti giornalisti tessono le lodi dei rimedi omeopatici per affrontare le attese influenze stagionali e altri fastidiosi virus più o meno invalidanti. Prendiamo il celeberrimo oscillococcinum, l’”antinfluenzale” omeopatico più diffuso al mondo, consigliato da molti farmacisti e persino da qualche medico. Come tutti gli altri ritrovati neanche lui contiene principio attivo (anche se è l’unico prodotto con non si basa sulla similitudine del farmaco). Si tratta di palline di lattosio e saccarosio, normali caramelle di zucchero per intenderci. Con la piccola differenza che queste caramelle zuccherose vengono vendute a oltre mille euro al chilo. Chi ne decanta i miracolosi effetti e le virtù “preventive” probabilmente non ne conosce però la mirabolante genealogia. Nel 1925 il medico francese Joseph Roy osservò dal suo microscopio alcuni campioni di sangue infetto notando un corpuscolo sferico che oscillava nel plasma. Questo corpuscolo fluttuante era presente nei campioni di pazienti affetti da patologie diverse, il che suggerì a Roy l’idea che si trattasse di una specie di batterio trasversale, un meta-batterio responsabile di tutte le principali infezioni. Lo chiamò oscillococco e provò ad estrarlo dal fegato e dal cuore di un’anatra muschiata per ricavare un rudimentale quanto improbabile vaccino universale. Le sperimentazioni sui malati non sortirono alcun effetto, ma Roy non demordeva ossessionato da quelle strane sfere oscillanti. La soluzione è decisamente triviale e venne a galla qualche anno dopo: Roy, che non era proprio un fenomeno nell’utilizzo del microscopio, e aveva infatti posizionato in modo errato i vetrini della preparazione, quei corpuscoli non erano batteri ma banali bolle d’aria. Con i microscopi di generazione successiva le bolle d’aria scomparvero e con loro anche le misteriose sfere. Ma l’intuizione errata di Roy è stata sfruttata con estremo talento e senso del marketing dall’industria francese Boiron che dagli anni 50 ha messo in commercio l’oscillococcinum e altre decine di rimedi. Un business miliardario che non ha nulla da invidiare alle citatissime multinazionali del farmaco, anche se i comunicatori della Boiron si presentano come una specie di Mulino Bianco della medicina, dei seguaci degli innocui metodi “naturali” contrapposti alle pericolose tossine prodotte dalla farmacologia chimica. Ma nonostante la fede di milioni di adepti, la reputazione del fegato di anatra muschiata inizia a oscillare pericolosamente, un po’ come le sfere del dottor Roy. Recentemente la Boiron è stata costretta a rimborsare 12,5 milioni di dollari a dei consumatori americani per pubblicità ingannevole in seguito ad una class action di cittadini. Un giudice californiano ha infatti stabilito che vendere palline di zucchero per curare l’influenza è una truffa e ha imposto all’azienda transalpina di indicare che l’oscillococcinum non è riconosciuto come un farmaco dalla Food and Drugs Administration. Una sentenza molto importante che rischia di mettere in crisi un settore in crescita esponenziale fino a qualche anno fa ma che ora sta subendo i primi severi danni d’immagine. In Inghilterra, Francia, ma anche in Norvegia e Svezia la vendita è in netto calo, con i servizi sanitari nazionali che ormai rifiutano o rendono sempre più difficili i rimborsi dei miracolosi rimedi omeopatici.

MA DI GOLA: DIECI RIMEDI NATURALI

Il mal di gola è uno dei disturbi più fastidiosi tipici della stagione invernale. Può essere causato da virus o da batteri e può essere accompagnato da tosse, raffreddore, febbre o influenza.
Quando i primissimi sintomi del mal di gola si presentano, è possibile agire immediatamente utilizzando dei rimedi naturali per calmare l’infiammazione prima che la situazione peggiori. In tal caso, è consigliabile consultare il proprio medico.

1) Aceto di mele

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L’aceto di mele presenta proprietà antibatteriche naturali. Esso può essere utilizzato in piccole quantità in una bevanda calda o in un normale bicchiere d’acqua, con la finalità di alleviare le infiammazioni della gola. Può essere altrimenti utilizzato per effettuare deisuffumigi, aggiungendone un paio di cucchiai in una pentola di acqua bollente, oppure deigargarismi, mescolando un cucchiaino di aceto di mele in un bicchiere d’acqua a temperatura ambiente.

2) Santoreggia

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La santoreggia è una pianta officinale appartenente alla famiglia della Laminaceae, le cui foglie vengono raccolte non soltanto per gli utilizzi culinari, ma anche per la loro utilità nella cura di alcuni malesseri, come il mal di gola. E’ possibile preparare un infuso di santoreggia per effettuare dei gargarismi utili a contrastare il mal di gola. Devono essere utilizzati 4 grammi di santoreggia essiccata ogni 100 millilitri d’acqua. La santoreggia deve essere lasciata in infusione in acqua bollente. Il liquido verrà filtrato e lasciato raffreddare prima di essere impiegato per sciacqui o gargarismi.

3) Cannella

cannella
Ecco un rimedio naturale contro il mal di gola che sfrutta le proprietà di una spezia portentosa come la cannella. Per la preparazione della tisana si potranno utilizzare sia la cannella acquistabile direttamente in polvere, sia la cannella sotto forma di stecca, che potrà essere grattugiata. La tisana prevede inoltre l’utilizzo di un ingrediente curativo ben conosciuto nella tradizione Ayurvedica, ma spesso sottovalutato in occidente: il pepe. A questo indirizzo potrete trovare il procedimento completo per la preparazione di una tisana alla cannella per ridurre l’infiammazione della gola e liberare le vie respiratorie.

4) Cipolla

cipolle
Le cipolle rappresentano un rimedio naturale portentoso contro piccoli disturbi di salute, come il mal di gola. Insieme all’aglio sono considerate alla stregua di veri e propriantibiotici e antinfiammatori naturali. Un ottimo rimedio naturale contro il mal di gola è costituito dalla preparazione di una tisana a base di bucce di cipolla. Sarà sufficiente portare ad ebollizione in la buccia di mezza cipolla per ogni tazza d’acqua. Filtrate e lasciate intiepidire il liquido ottenuto. Se il sapore non dovesse risultare gradevole, dolcificate a piacere.

5) Limone

limone
Il limone, con particolare riferimento al suo succo, svolge un’azione antibatterica naturale e può essere utile per disinfettare il cavo orale e per effettuare dei gargarismi in caso di mal di gola. Se trovate sollievo al dolore preferibilmente con bevande fredde anziché calde, sostituite al classico tè caldo al limone una limonata preparata mescolando succo di limone e acqua fresca. Potreste anche provare ad effettuare dei gargarismi con acqua a cui avrete aggiunto poche gocce di succo di limone.

6) Olio essenziale di eucalipto

eucalipto
L’olio essenziale di eucalipto è ricco di eucaliptolo, una sostanza a cui sono state attribuite delle spiccate proprietà germicide. Il suo utilizzo è consigliato in caso di mal di gola e di raffreddore per effettuare dei suffumigi versandone tre o quattro gocce in un litro di acqua bollente. L’olio essenziale di eucalipto può essere inoltre impiegato per la cura del mal di gola diluendone una o due gocce in un bicchiere di acqua tiepida per effettuare dei gargarismi due volte al giorno.

7) Liquirizia

La liquirizia è considerata uno dei migliori rimedi della nonna contro il mal di gola. Masticare dei bastoncini di liquirizia può essere utile ad aiutare la gola a disinfiammarsi e ad alleviare il dolore. La liquirizia può essere utilizzata in abbinamento alle foglie d’alloroper la preparazione di un infuso curativo per il mal di gola. A questo indirizzo è possibile consultare la ricetta completa per la sua preparazione.

8) Maggiorana

La maggiorana è una pianta aromatica utilizzata in maniera efficace per la cura dello stress e contro il nervosismo, ma utile anche nel caso in cui si soffra di mal di gola. L’olio essenziale di maggiorana è utile per sedare la tosse e per facilitare l’eliminazione del catarro, oltre che per la cura del mal di gola. Può essere utilizzato in poche gocce per effettuare dei suffumigi. Con due cucchiaini di foglie essiccate di maggiorana per tazza è possibile preparare un infuso da utilizzare tiepido per i gargarismi. A questo indirizzo potete trovare la ricetta di uno sciroppo alla maggiorana da utilizzare in caso di raffreddore, tosse e mal di gola.

9) Fieno greco

Il fieno greco è una delle piante officinali utilizzate fin dall’antichità per la cura di disturbi della salute come il mal di gola. Esso possiede proprietà antisettiche e anti-infiammatorie ed è per tale motivo considerato utile nel combattere il mal di gola. Il fieno greco può essere impiegato per la preparazione di un decotto, calcolando di utilizzarne circa 12 grammi ogni 250 millilitri d’acqua. Una volta intiepidito, il decotto è perfetto per effettuare dei gargarismi.

10) Salvia

La salvia è una pianta aromatica comunemente utilizzata in cucina che nasconde degli inaspettati effetti curativi. Ad essa vengono attribuite proprietà battericide naturali. Con le foglie essiccate di salvia può essere preparato un infuso da bere due o tre volte al giorno, calcolando di utilizzare due cucchiaini di salvia per tazza. L’infuso presenta proprietà antibatteriche, oltre che digestive. Se lasciato raffreddare, esso può essere impiegato pereffettuare dei gargarismi contro il mal di gola.

LA GEMMOTERAPIA

La Gemmoterapia è una branca della Fitoterapia. Anche la Gemmoterapia si avvale, infatti, delle proprietà curative delle piante e utilizza preparati medicinali naturali a base di erbe. La differenza sostanziale, però, è che quando si parla di Gemmoterapia e di Gemmoderivati, il riferimento è a tutti quei composti per la preparazione dei quali vengono utilizzate solo le parti “giovani” della pianta, ovvero i tessuti vegetali in crescita e non la pianta “adulta” come invece succede per tutti i preparati erboristici in generale. Le parti della pianta utilizzate per produrre gemmoderivati sono varie e includono le gemme, i frutti immaturi, le radichette in crescita, i getti (quelli presenti negli arbusti delle rose o delle more ad esempio) e, in alcuni casi, la corteccia dei rami giovani, molto delicata e sottile: è questo il caso del limone, il cui nome scientifico è citrus limonum. In Gemmoterapia, infatti, per convenzione, per identificare le specialità messe in commercio derivanti dall’estrazione di sostanze curative dai tessuti della pianta in crescita, viene utilizzato il nome scientifico dell’erba, ovvero quello latino. I primi studi sulle proprietà curative delle parti giovani delle piante risalgono alla metà del XX secolo ma le basi scientifiche sono state impostate solo negli anni ’50 grazie soprattutto all’opera di un medico belga, Paul Henry, appassionato di piante e agronomia e dotato di una vasta conoscenza della botanica, ovvero della crescita, dello sviluppo e della sopravvivenza delle piante. Non mancano apporti meno recenti: lo stesso Paracelso (medico vissuto a cavallo tra il XV e il XVI secolo), considerato il padre della chimica moderna e della medicina come approccio olistico e naturale nei confronti dell’uomo, parlò nei suoi scritti delle proprietà insite nelle gemme delle piante. Per conferire maggiore scientificità alla disciplina, alcuni studiosi hanno proposto di modificare il nome della branca in Meristemoterapia. Per tessuto meristematico infatti si intende un tessuto composto da cellule giovani e in crescita, proprio quello che viene utilizzato nella produzione di gemmoderivati.
Metodica di estrazione e macerato glicerico
I gemmoderivati sono alcooliti particolari e non esistono preparati alternativi al macerato glicerico (MG), a differenza di quello che accade in Fitoterapia che prevede invece diverse modalità di preparazione di composti curativi a base di erbe.
La metodica di estrazione dei gemmoterapici è differente da quella utilizzata per ottenere estratti vegetali con le parti adulte delle piante. Fu proprio Paul Henry a mettere a punto un sistema efficace: la metodica di estrazione dei principi attivi e degli ormoni contenuti nelle gemme, infatti, necessita l’uso di solventi che non siano troppo aggressivi sui tessuti in crescita. Il metodo prevede ancora oggi di aggiungere ad un agente estrattivo classico, l’alcol, un altro solvente, la glicerina, sempre una sostanza alcolica ma molto meno aggressiva; è utilizzata spesso la glicerina vegetale, ovvero ricavata da tessuti naturali, come il mais o il cocco. Questo solvente interviene sui tessuti delle parti in crescita della pianta estraendo i principi attivi e gli ormoni presenti. Successivamente l’estratto che viene ottenuto subisce una ulteriore diluizione con alcol, acqua e glicerina; tutta la gamma di sostanze estratte va poi a costituire il farmaco gemmoderivato utilizzato per la cura di svariate patologie. È questo l’unico metodo di estrazione delle sostanze curative ottenute grazie all’utilizzo di gemme e parti in crescita della pianta. Il preparato così ottenuto si chiama macerato glicerico. I gemmoterapici nell’adulto solitamente si somministrano nella dose di una goccia per chilo di peso corporeo. I prodotti gemmoterapici hanno dosaggio ponderale (ovvero le quantità di prodotto è elevata), e l’approccio che viene usato nella cura è di tipo allopatico.
Ciò che ha incuriosito gli studiosi dell’epoca, in primis Henry e i suoi collaboratori, è la presenza nelle parti della pianta in crescita di sostanze che nella parte adulta poi spariscono: in particolare il riferimento è ad ormoni vegetali (gibberelline, auxine, cinetine, fitostimoline) di cui le piante si avvalgono per accrescersi, esattamente come l’epidermide di un neonato. Rispetto alle parti adulte della pianta, i tessuti meristematici sono ricchi di cellule totipotenti, dove è intensa l’attività mitotica perché in costante crescita ed evoluzione, e quindi ricche di amminoacidi liberiacidi nucleicienzimi fattori di crescita. In particolare in questi tessuti, come già accennato, si trovano una serie numerosa di ormoni; tutte queste sostanze si uniscono ai metaboliti secondari, ovvero principi attivi che si trovano anche nella pianta adulta, creando un fitocomplesso particolare in grado di svolgere nella maggior parte dei casi un’azione differente rispetto a quella espletata da preparati composti con le parti adulte delle stesse piante. Uno dei vantaggi offerti dai preparati gemmoterapici è una quasi totale assenza di effetti tossici (mentre per le piante adulte è necessario avere qualche accortezza in più). Ovviamente come tutte le sostanze che agiscono sul fisico, possono esistere controindicazioni che devono essere tenute in considerazione dal momento in cui si decide di assumere un preparato ottenuto con l’uso delle piante, sia esso un derivato dal tessuto di piante adulte sia che provenga dall’impiego di tessuti giovani.
Nel confronto tra preparati fitoterapici e gemmoderivati non è corretto parlare dell’uno come più efficace dell’altro o viceversa: il risultato sull’organismo di chi ne fa uso, infatti, come anche l’indicazione terapeutica, è spesso semplicemente differente. Dalla lavorazione di una pianta, infatti, possono essere ottenuti differenti preparati, a seconda delle parti di essa utilizzate: polvere, infusi, tisane, oli essenziali o anche preparati gemmoderivati (macerati glicerici). Nella maggior parte dei casi ognuno di essi sarà maggiormente indicato nella cura di determinate patologie o sintomi, a seconda della variante estrattiva che si sceglie di utilizzare. Un esempio concreto è quello relativo alla vite rossa (vitis vinifera): le foglie in autunno assumono una colorazione rossa perché sono ricche di antociani che agiscono favorevolmente sulla stasi venosa o la circolazione difettosa. Gli estratti della foglia della vite rossa sono particolarmente indicati nelle venopatie, insufficienze venose, gambe che formicolano o liquidi accumulati tra i tessuti provocando ad esempio la comparsa della cellulite. Il Gemmoterapico di vitis vinifera, a differenza del preparato erboristico però, non agisce sull’apparato venoso ma è particolarmente indicato per le infiammazioni dell’apparato muscolo-scheletrico.
Secondo il preparato scelto, quindi, può cambiare l’ambito d’applicazione: ciò non avviene necessariamente in tutti i casi ed è per questo necessario il consiglio dell’erborista e lo studio approfondito dei preparati gemmoterapici o fitoterapici prima di intraprendere qualsiasi tipo di terapia, sia sotto forma di autocura ma anche sotto consiglio di medici esperti di queste discipline. In generale i gemmoderivati sono particolarmente utili nella cura di alcune malattie dell’infanzia La gamma dei gemmoderivati studiati comprende più o meno quaranta/cinquanta piante (meno quindi rispetto alle piante di cui si utilizzano le parti adulte per la preparazione di rimedi fitoterapici). Il Ministero della Salute si occupa di autorizzare il commercio di gemmoderivati a partire da studi presentati che dimostrano le proprietà curative piuttosto che tossiche dei preparati. Per questo la lista dei prodotti ottenuti utilizzando le parti in crescita della pianta varia da trenta a quaranta, secondo le evidenze scientifiche ottenute e dagli studi di volta in volta valutati. Attualmente in commercio la quantità di prodotti gemmoderivati è nettamente inferiore alla rosa di preparati ottenuti grazie all’uso delle parti adulte della pianta. Le piante studiate da Henry erano circa una trentina, principalmente piante ad alto fusto, arbusti, cespugli come noce, castagno, sorbo, rosa canina, quercia, il fico (nella gamma sono presenti poche piante erbacee anche perché queste ultime non producono gemme).
Efficacia della Gemmoterapia
La Gemmoterapia offre delle potenzialità terapeutiche enormi certificate anche da studi scientifici come quello condotto dall’Università La Sapienza di Roma. Molti sono i miti da sfatare quando si parla di terapia a base di piante e in particolare di Gemmoterapia: nelle terapie che prevedono l’uso di prodotti di questo genere non esiste lungaggine. L’efficacia e il tempo di azione dei preparati gemmoterapici sono rapidi e veloci, spesso come quello dei preparati chimici. Esistono ad esempio alcuni derivati vegetali importantissimi considerati farmaci salvavita di classe A (come atropina, caffeina, teina); sostanze che possono avere un effetto curativo ma anche tossico e nocivo se non somministrate con una posologia corretta. I Gemmoterapici agiscono mediante sostanze atte a modificare la funzione, e, nello stesso modo in cui avviene per i farmaci di sintesi, un abuso può arrivare anche a provocare la morte. Questo solo per dire che, come i farmaci di origine naturale possono rivelarsi nocivi in un lasso di tempo breve, la stessa immediatezza contraddistingue il loro effetto terapeutico.
Alcuni esempi
Dal cardomariano si estrae della silimarina (riconosciuta scientificamente come una delle migliori sostanze epato-protettrici): la sostanza agisce immediatamente, il suo effetto dipenderà ovviamente dal dosaggio e dalla qualità della sostanza che si assume.
La scoperta del cortisone, dei suoi derivati e la loro messa a punto, sono prodotti dello studio effettuato su una pianta dal nome dioscorea messicana.
Il ficus carica (il tipico fico di cui la zona mediterranea è ricca) è uno dei Gemmoderivati più usati e più efficaci. La sua azione è molto evidente nel trattamento sintomatico di alcune patologie nella cura dei cui sintomi l’efficacia è immediata. È possibile, però, anche intraprendere terapie che prevedono l’assunzione di ficus carica per un periodo di tempo più lungo che porterà quindi ad un vero e proprio effetto curativo. Il ficus carica possiede proprietà regolatrici della motilità e delle secrezioni a livello gastroduodenale, antidistoniche e favorisce il riassorbimento di ematomi cranici derivanti da trauma. Può essere utilizzato per contrastare i bruciori di stomaco prodotti da una somatizzazione di disturbi emotivi: il ficus carica non agisce tamponando il tessuto eroso ma interviene a livello encefalico per interrompere la secrezione eccessiva di succhi a differenza dei classici farmaci di sintesi che invece si limitano a provocare sollievo temporaneo. Il ficus carica agisce infatti immediatamente ma con un meccanismo differente: inibendo lo stimolo che provoca il disturbo. Il tempo d’azione è rapidissimo, questione di pochi minuti.
Le gemme di lampone contengono la fragarina, una molecola in grado di agire immediatamente sui dolori causati dalla dismenorrea (mestruazione dolorosa).

LA CURA OMEOPATICA PER LA SINUSITE

La sinusite è un’infiammazione dei seni paranasali, spazi vuoti che svolgono la funzione di filtrare, inumidire e riscaldare l’aria che si respira. I seni sono spesso soggetti ad infezioni causate da diversi fattori: allergie, variazioni della pressione atmosferica, infezioni dentarie, difetti di struttura del naso (condotti non correttamente strutturati), polipi nasali. 
L’infiammazione può essere causata da virus o batteri. La mucosa infiammata si gonfia bloccando il drenaggio e la conseguenza è un accumulo di secrezione o pus (come nel caso della sinusite purulenta) che impedisce il regolare passaggio dell’aria. Questo determina la sintomatologia tipica della sinusite acuta, cioè una forte cefalea accompagnata da un senso di peso, soprattutto mattutino, causato dalla congestione nasale. L’infiammazione e il dolore che ne derivano colpisce diverse sedi: ad esempio, quando la sinusite è mascellare il dolore si irradia al nervo sovra-orbitario e alla guancia. Quella frontale provoca la tipica cefalea da sinusite che parte dalla radice del naso e si irradia all’angolo interno dell’orbita. La sinusite viene distinta in due forme: acuta ecronica. La forma acuta somiglia ad un forte raffreddore e i sintomi principali sono cefalea acuta e pulsante, dolore al volto e alla radice del naso che talvolta si estende anche all’orbita dell’occhio, ostruzione nasale. Può esserci anche febbre, soprattutto nella forma purulenta. Tutte le forme acute non curate correttamente causano una forma cronica e recidivante che in base ai diversi fattori scatenanti (virulenza dei germi, freddo e sbalzi termici, reazione individuale, diverso posizionamento dei seni) variano nella sede (mascellare, frontale ecc) e per gravità. I dolori nella forma cronica sono di tipo nevralgico con senso di peso e fastidio locale accompagnati spesso da sensazione di cattivo odore. Quando la sinusite diventa cronica è più facile il rischio di riacutizzazioni e complicazioni.
L’interpretazione psicosomatica della sinusite è piuttosto complessa. Il muco simboleggia la creatività del soggetto, la sessualità e la spiritualità. Quando queste energie emotive sono bloccate dalle insicurezze e non riescono ad esprimersi nelle relazioni, sintomi come il naso chiuso e mancanza dell’olfatto sono il simbolo della riduzione degli scambi con il mondo esterno. Inoltre il muco occupa le cavità che servono ad alleggerire la testa ma anche a dare risonanza alla voce. Il risultato è un’energia inespressa che genera la tipica sensazione di pesantezza della testa. La voce perde la sua cassa di risonanza e diventa debole, simboleggiando così una minore forza comunicativa. La sinusite acuta si manifesta non a caso dopo un periodo in cui una forte carica energetica non è stata espressa e ha creato un disagio che il paziente è riuscito a manifestare solo in parte. La forma cronica, invece, rappresenta un’incapacità (definita cronica appunto) di esprimere le parti migliori di sé e di restare in contatto con esse e con il proprio intuito.
L’omeopatia è di grande aiuto nella cura della sinusite. La maggior parte dei rimedi utilizzati intervengono contemporaneamente nella forma acuta e cronica poiché spesso hanno un’azione profonda anche sul terreno che determina l’infiammazione. Le potenze più indicate sono quelle basse (dalla 5 alla 30 CH) ma per alcuni rimedi devono essere valutate bene le caratteristiche dei sintomi per individuare la potenza adatta. Il paziente dovrà sempre affidarsi al medico curante che, dopo un’accurata indagine sugli esami clinici e sui sintomi raccontati dal paziente, potrà stabilire quale siano i rimedi e le potenze più adeguate.
Belladonna è il rimedio più usato nelle sinusiti ed indicato quando le sindromi infiammatorie sono associate alla febbre. Il sintomo tipico di belladonna è la cefalea congestizia pulsante accompagnata spesso da vertigini e fotofobia. Il dolore peggiora inclinandosi in avanti e migliora dopo il riposo, con la pressione forte e con il calore.
Kalium Bichromicum si utilizza nelle sinusiti mascellari o frontali. Le secrezioni sono gialle–verdastre, a volte sanguinolente, vischiose, abbondanti e filanti e vengono espulse con grande difficoltà. Questo determina la comparsa di forti dolori e senso di pressione alla radice del naso, ostruzione nasale, perdita olfattiva. Tipiche di questo rimedio sono le nevralgie che si ripetono con cadenza periodica (ad esempio ogni giorno o in un determinato orario). I sintomi si scatenano e sono aggravati dal freddo-umido; peggiorano in autunno e in primavera.
La presenza di una forte secrezione con le stesse caratteristiche si ritrova anche inHydrastis Canadensis. Tipica del rimedio è una rinorrea posteriore: la secrezione scende e raggiunge la gola. Spesso è presente una tosse secca accompagnata da raucedine ed espettorato giallo-verdastro. Il paziente ha dolori nella sede frontale e tutti i sintomi peggiorano con il freddo e all’aria aperta.
Anche Lachesis soffre di cefalee congestizie (soprattutto sovra-orbitali) e dolori alla radice del naso. Il rimedio viene prescritto quando i sintomi si manifestano in seguito alla brusca interruzione della secrezione. Lachesis scioglie il muco e facilita il drenaggio.
Hepar sulfur è indicato per le sinusiti croniche con secrezione purulenta e maleodorante. La suppurazione è di difficile drenaggio e questo scatena sintomi come dolori frontali e alla radice del naso che peggiorano con il freddo. Anche Hepar è indicato nei disturbi periodici, ad esempio nelle sinusiti che si presentano ad ogni inverno o sempre nello stesso periodo. Con Hepar si può vedere come intervengono diversamente differenti potenze dello stesso rimedio. Le potenze medio-basse favoriscono il drenaggio della suppurazione mentre quelle alte arrestano o riassorbono la suppurazione. Questa dinamica riferita alla scelta delle potenze si applica anche ad altri rimedi, come Hydrastis ad esempio.
Silicea cura una forma di sinusite frontale e mascellare cronicizzata che si presenta come un raffreddore perenne. Il paziente soffre di cefalea e ostruzione cronica, si ammala spesso di raffreddori nella stagione fredda. La cefalea di Silicea è intensa con sensazione che la testa stia per esplodere, infatti migliora stringendo una benda intorno al capo. Spesso il dolore si concentra su un occhio.
Pyrogenium è l’equivalente di un antibiotico in forma omeopatica; interviene in tutti i processi infettivi acuti e cronici di origine batterica o virale. Utilizzato mattina e sera nella fase acuta blocca o fa regredire la suppurazione. Viene spesso seguito dalla somministrazione di Hepar sulfur (con potenza più alta, 15-30 CH). Altri sintomi di Pyrogenium sono forte spossatezza, stato di prostrazione e febbre.

LA GEMMOTERAPIA

La Gemmoterapia è una branca della Fitoterapia. Anche la Gemmoterapia si avvale, infatti, delle proprietà curative delle piante  e utilizza preparati medicinali naturali a base di erbe. La differenza sostanziale,  però, è che quando si parla di Gemmoterapia e diGemmoderivati, il riferimento è a tutti quei composti per la preparazione dei quali vengono  utilizzate solo le parti “giovani” della pianta, ovvero i tessuti vegetali in  crescita e non la pianta “adulta” come invece succede per tutti i preparati erboristici  in generale.
gemmoterapiaLe parti della pianta utilizzate per produrre gemmoderivati sono varie e includono  le gemme, i frutti immaturi, le radichette in crescita, i getti (quelli presenti  negli arbusti delle rose o delle more ad esempio) e, in alcuni casi, la corteccia  dei rami giovani, molto delicata e sottile: è questo il caso del limone, il cui  nome scientifico è citrus limonum. In Gemmoterapia, infatti, per convenzione, per identificare le specialità messe  in commercio derivanti dall’estrazione di sostanze curative dai tessuti della  pianta in crescita, viene utilizzato il nome scientifico dell’erba, ovvero quello  latino.    I primi studi sulle proprietà curative delle parti giovani delle piante risalgono  alla metà del XX secolo ma le basi scientifiche sono state impostate solo negli  anni ’50 grazie soprattutto all’opera di un medico belga, Paul Henry, appassionato  di piante e agronomia e dotato di una vasta conoscenza della botanica, ovvero  della crescita, dello sviluppo e della sopravvivenza delle piante. Non mancano  apporti meno recenti: lo stesso Paracelso (medico vissuto a cavallo tra il XV  e il XVI secolo), considerato il padre della chimica moderna e della medicina  come approccio olistico e naturale nei confronti dell’uomo, parlò nei suoi scritti  delle proprietà insite nelle gemme delle piante.
Per conferire maggiore scientificità alla disciplina, alcuni studiosi hanno proposto  di modificare il nome della branca in Meristemoterapia. Per tessuto meristematico infatti si intende un tessuto composto da cellule  giovani e in crescita, proprio quello che viene utilizzato nella produzione di  gemmoderivati.
I gemmoderivati sono alcooliti particolari e non esistono preparati alternativi  al macerato glicerico (MG), a differenza di quello che accade in Fitoterapia che  prevede invece diverse modalità di preparazione di composti curativi a base di  erbe.  La metodica di estrazione dei gemmoterapici è differente da quella utilizzata  per ottenere estratti vegetali con le parti adulte delle piante. Fu proprio Paul  Henry a mettere a punto un sistema efficace: la metodica di estrazione dei principi  attivi e degli ormoni contenuti nelle gemme, infatti, necessita l’uso di solventi  che non siano troppo aggressivi sui tessuti in crescita. Il metodo prevede ancora  oggi di aggiungere ad un agente estrattivo classico, l’alcol, un altro solvente,  la glicerina, sempre una sostanza alcolica ma molto meno aggressiva; è utilizzata  spesso la glicerina vegetale, ovvero ricavata da tessuti naturali, come il mais  o il cocco. Questo solvente interviene sui tessuti delle parti in crescita della  pianta estraendo i principi attivi e gli ormoni presenti. Successivamente l’estratto  che viene ottenuto subisce una ulteriore diluizione con alcol, acqua e glicerina;  tutta la gamma di sostanze estratte va poi a costituire il farmaco gemmoderivato  utilizzato per la cura di svariate patologie. È questo l’unico metodo di estrazione  delle sostanze curative ottenute grazie all’utilizzo di gemme e parti in crescita  della pianta. Il preparato così ottenuto si chiama macerato glicerico.
I gemmoterapici nell’adulto solitamente si somministrano nella dose di una goccia  per chilo di peso corporeo. I prodotti gemmoterapici hanno dosaggio ponderale  (ovvero le quantità di prodotto è elevata), e l’approccio che viene usato nella  cura è di tipo allopatico.
Ciò che ha incuriosito gli studiosi dell’epoca, in primis Henry e i suoi collaboratori,  è la presenza nelle parti della pianta in crescita di sostanze che nella parte  adulta poi spariscono: in particolare il riferimento è ad ormoni vegetali (gibberelline, auxine, cinetine, fitostimoline) di cui le piante si avvalgono  per accrescersi, esattamente come l’epidermide di un neonato. Rispetto alle parti  adulte della pianta, i tessuti meristematici sono ricchi di cellule totipotenti,  dove è intensa l’attività mitotica perché in costante crescita ed evoluzione,  e quindi ricche di amminoacidi liberiacidi nucleicienzimi fattori di crescita. In particolare in questi tessuti, come già accennato, si trovano una serie  numerosa di ormoni; tutte queste sostanze si uniscono ai metaboliti secondari,  ovvero principi attivi che si trovano anche nella pianta adulta, creando un fitocomplesso particolare in grado di svolgere nella maggior parte dei casi un’azione differente rispetto  a quella espletata da preparati composti con le parti adulte delle stesse piante.   Uno dei vantaggi offerti dai preparati gemmoterapici è una quasi totale assenza  di effetti tossici (mentre per le piante adulte è necessario avere qualche accortezza  in più). Ovviamente come tutte le sostanze che agiscono sul fisico, possono esistere  controindicazioni che devono essere tenute in considerazione dal momento in cui  si decide di assumere un preparato ottenuto con l’uso delle piante, sia esso un  derivato dal tessuto di piante adulte sia che provenga dall’impiego di tessuti  giovani.

LA FITOTERAPIA NELLA CURA DEI PROBLEMI ALL’APPARATO DIGERENTE

Le malattie dell’apparato digerente sono molto diffuse. Stomaco e intestino possono essere interessati da disturbi di vario genere e per il  trattamento di alcuni di essi è possibile rivolgersi alle piante. Il mondo della natura si rivela in grado di combattere i sintomi ma anche di  guarire alcune delle patologie di più comune diffusione, senza dover ricorrere  a farmaci di sintesi e con l’utilizzo di rimedi privi di effetti collaterali. Per comodità si divide qui l’apparato digerente in due macro aree sulle quali  l’attenzione verrà concentrata singolarmente per operare un’analisi esauriente  delle patologie a loro carico e della cura dei disturbi attraverso le piante e  la fitoterapia. Spesso la medicina tradizionale tende a trascurare alcune delle  situazioni di cui si parlerà in seguito, preferendo sopprimerne i sintomi attraverso  palliativi senza giungere alla radice del problema per risolverlo alla base. È  bene quindi sapere che dal punto di vista erboristico, l’apparato digerente è  centrale all’interno del discorso di gestione della salute.  
Stomaco
Gastrite, difficoltà di digestione, reflusso gastroesofageo e acidità possono rendere la vita affatto facile. Largo impiego ha l’arte erboristica  in questi casi, se pure con un limite alla sua possibilità di intervento; nel  caso infatti di patologie più importanti a carico dell’apparato in questione,  come l’ernia iatale, le piante non possono molto se non influire limitando la  sintomatologia.  L’approccio erboristico alla cura delle patologie dello stomaco segue una linea  di intervento opposta rispetto a quella percorsa dalla medicina tradizionale.  Il medico tende a inquadrare il problema dal punto di vista del sintomo mentre  l’erborista cerca, nei limiti del possibile, di lavorare sulla causa che ha prodotto  quell’effetto. La gastrite, ad esempio, è causata da un eccesso di secrezione dei succhi gastrici.  Nella sua cura, la medicina tradizionale cerca di limitare la presenza di acido  nello stomaco; l’approccio fitoterapico paradossalmente predilige l’uso di piante  che, al contrario, tendono ad aumentare la concentrazione di questi. Il motivo  alla base di questa strategia terapeutica va ricercato in un modo di accostarsi  al concetto di cura che proviene da lontano: secondo l’approccio galenico lo stomaco  è un organo freddo; a determinare la malattia è un eccesso di freddezza (prodotta anche dall’esagerazione  con cibo). Una condizione simile provoca rallentamenti alla sua funzione e l’organo  si difende cercando di “scaldarsi” con l’iperproduzione di succhi gastrici allo  stesso modo in cui una pelle acneica, aggredita da creme molto aggressive, reagisce  producendo una maggiore quantità di sebo.
Nella cura della gastrite e di tutte le patologie collegate ad un eccesso di  acidi nello stomaco, l’erboristeria predilige le droghe amare, piante che appunto hanno un effetto riscaldante ma moderato. L’azione di erbe  simili contrasta l’eccessiva freddezza, causa della patologia, e riporta l’organo  ad una situazione di equilibrio: la malattia viene sconfitta quindi non limitando  la presenza di succhi gastrici nello stomaco ma con l’uso di droghe che mettono  l’organo nella condizione di non produrli più svolgendo la stessa funzione per  cui essi vengono secreti in quantità eccessiva.  L’erba amara più conosciuta nella tradizione italiana è la genziana, ma di comune utilizzo sono anche la centaurea e l’assenzio (utilizzato, per esempio, nella preparazione dei vermouth). Molto utilizzate  pure piante di più recente introduzione, provenienti da altri continenti, come  la china.  Il sapore di queste droghe – soprattutto quello della genziana – è sgradevole;  per contrastare il sapore amaro il consiglio è unire al preparato un po’ di liquirizia per rendere il gusto più sopportabile. La liquirizia, oltretutto, è anche un  cicatrizzante e ha quindi un effetto positivo su eventuali ulcere o mucose infiammate.  La forma da prediligere è la tisana così composta: 50% di piante amare, 20% di  liquirizia e il restante 30% di piante protettrici della mucosa gastrica. La bevanda  così composta si auto-compensa. Erbe dell’ultimo tipo sono l’altea e la malva: ricche di mucillagini, leniscono l’infiammazione e proteggono le pareti dello  stomaco. Le mucillagini, infatti, a contatto con l’acqua si gonfiano e vanno a  costituire una sorta di gel che aderisce alle mucose gastriche. In più le droghe  mucillaginose regolano il contenuto idrico nel tratto gastro-intestinale: rilasciano  acqua in caso di assenza e la assorbono quando è troppa.
Ulteriore caratteristica delle droghe amare è quella di accelerare lo svuotamento  gastrico, azione molto simile a quella di alcuni dei più famosi farmaci di sintesi  utilizzati proprio in caso di gastrite e reflusso gastroesofageo.  Altro toccasana per lo stomaco è lo zenzero. La pianta non appartiene al gruppo delle droghe amare: masticarlo, però, aiuta  a combattere le patologie dello stomaco oltre alla pesantezza tipica dopo le grandi  “abbuffate”.  Infine è bene portare l’attenzione su una delle cause di dolori di stomaco più  diffuse: la presenza all’interno dell’organo di un batterio chiamato helicobacter pylori. Di norma, dopo la diagnosi, il paziente viene indirizzato verso una cura antibiotica.  Anche in questo caso, però, è in realtà possibile ricorrere alle piante. L’iter  è però più lungo: la sintomatologia di norma sparisce nel giro di 2-3 giorni ma  per estirpare il batterio la cura necessita di un trattamento che si protragga  dai 2 ai 6 mesi. Alla fine l’helicobacter può dirsi estirpato e si può affermare  con certezza che il rischio di recidive successivamente a questa cura è molto  basso. Il composto per il decotto si prepara con 40% di curcuma, 20% di cannella, 20% di liquirizia e 20% di zenzero. Ogni pianta, all’interno della formulazione, ha una sua specifica funzione:  la curcuma è una pianta in grado di lavorare molto bene sull’asse fegato-intestino,  in questo contesto è in grado combattere l’helicobacter . Spostando il discorso sui gemmoderivati nella cura delle malattie dello stomaco, sono due i preparati di questo tipo  che fanno da riferimento: l’alnus glutinosa e ilficus carica ai quali aggiungere anche tilia tomentosa quando iperacidità e bruciore gastrico sono di origine nervosa.  Un consiglio per chi soffre di gastrite: buona norma sarebbe eliminare il caffè, da sostituire ad esempio con noce di cola o mate. Per combattere la sensazione di pienezza dopo un pasto abbondante molto utili  si rivelano enzimi estratti da ananas e papaia.
Intestino
L’intestino, insieme ai reni, è l’organo deputato all’eliminazione degli scarti  e su di esso si riflettono tutti gli squilibri del corpo. Sono varie le problematiche  che possono interessare questo apparato: una di queste è la stitichezza. Essa può essere determinata da due differenti fattori, secchezza delle feci  o scarsa e limitata peristalsi intestinale. Prima di optare per un preparato erboristico  piuttosto che un altro, è bene chiarire quale sia la natura della stipsi. A determinare  la comparsa di questo disturbo sono principalmente l’alimentazione e lo stile  di vita, aspetti strettamente collegati l’uno all’altro. Il problema della stipsi  è diffusissimo, circa il 50% dei prodotti venduti dalle erboristerie, erbe e loro  derivati quindi, viene acquistato per la cura di questo disturbo.
Grazie alle piante la stitichezza è una problematica che si può risolvere. Esistono, infatti, molte  droghe vegetali dall’azione lassativa efficaci nella cura della stipsi, alcune  però sono controindicate per le donne in gravidanza e durante l’allattamento.  In particolare il riferimento è a prodotti lassativi contenenti antrachinoni, sostanze contenute nella maggior parte dei prodotti lassativi in circolazione,  in grado di stimolare la peristalsi intestinale. Questi agiscono provocando iperemia,  richiamando quindi sangue nella zona addominale, soprattutto se si eccede con  il dosaggio. Un simile effetto in gravidanza può comportare un aumento del rischio  di aborto; inoltre gli antrachinoni tendono a passare nel latte materno. Vietato  quindi l’uso di tali prodotti nelle donne in stato interessante, meno attenzione  può essere prestata quando ad assumerli sono uomini o persone anziane di ambo  i sessi. Attenzione comunque a non abusare di queste sostanze, esse infatti tendono  a creare “tolleranza” (un meccanismo simile a quello della resistenza agli antibiotici):  l’organismo si abitua alla loro azione e per ottenere una reazione simile nel  corso del tempo sarà necessario aumentare le dosi.
L’approccio fitoterapico classico nella cura della stipsi si avvale di norma  dei semi di lino o di psillio. Entrambi sono efficaci ma soprattutto innocui. Le loro modalità di assunzione  sono differenti: il lino deve essere fatto bollire in acqua fino a quando i semi  non si aprono per poi bere decotto e semi; i semi dello psillio invece possono  essere ingoiati senza prima essere stati trattati, per la loro ingestione è sufficiente  dell’acqua fredda. Sono entrambi lassativi blandi che espletano la loro funzione  in modo dolce contro la stipsi lieve. Quando la stitichezza è caratterizzata da episodi importanti allora la soluzione  sono lassativi di tipo antrachinonico come la senna o la frangola. Entrambi possono essere utilizzati sia sotto forma di tisana che di compresse  e polveri. Per tentare ad esempio a rieducare l’intestino ad una peristalsi più  regolare è possibile preparare una tisana a base di frangolaalteafinocchio e malva. Assumere questa tisana nel tempo può essere molto utile e importante sarà giocare  con le dosi: il consiglio è di iniziare in un primo periodo facendo prevalere  la frangola sull’altea e poi aumentare le dosi dell’altea nel tempo fino ad eliminare  quasi del tutto la frangola. Come già ampiamente detto, però, questo genere di  rimedio è da evitare in gravidanza e durante l’allattamento. Altra droga molto utile per combattere la stipsi è la malva, anche da sola e unicamente sotto forma di tisana. Infine bere moltissima acqua  e curare l’alimentazione sono due strategie vincenti sempre e comunque per combattere  questo fastidioso disturbo. I problemi intestinali però non si limitano alla stitichezza. Dissenteria e colite  possono essere frutto di differenti cause: possono derivare da una cattiva alimentazione,  essere il risultato di infezioni intestinali oppure avere origine nervosa. Per  poter intervenire su patologie di questo genere, quindi, è necessario individuare  prima la causa della loro comparsa e di conseguenza regolarsi sulla strategia  terapeutica più adatta.  Anche in questi casi trovano impiego le erbe mucillaginose che creano uno strato  protettivo sulle pareti dell’intestino e lo proteggono. A piante di questo genere  è possibile poi unire droghe dall’azione astringente o disinfettante. Del primo  tipo sono le foglie di mirtillo, la piantaggine (utile anche in caso di colite ulcerosa essendo un ottimo cicatrizzante), la  quercia e la tormentilla. Piante disinfettanti del tratto intestinale sono invece, oltre al già citato  mirtillo, quelle che compongono la miscela per tisane di cui si è parlato in merito  all’helicobacter.
Una delle patologie più comuni è la tendenza ad accumulare gas nella pancia.  Il meteorismo è conseguenza di un’infiammazione e il suo trattamento da un punto  di vista erboristico si espleta principalmente attraverso il consumo di preparati  a base di piante antifermentative. La classica miscela anice e finocchio, sia per la sua efficacia che per la sua bontà, è di sicuro la più utilizzata.  Stessa funzione si può ottenere tramite l’assunzione di altre erbe aromatiche  come camomillasalviaoriganocannellachiodi di garofano. In particolare la camomilla è ottima anche come riequilibratore della flora  batterica intestinale. Rimedio d’eccellenza in tal senso è l’assunzione di fermenti lattici vivi, un toccasana per garantire la regolarità intestinale, soprattutto dopo un trattamento  antibiotico importante. Entrambe queste strategie sono un buon modo per scongiurare  anche l’eccessiva proliferazione dell’escherichia coli, batterio pericoloso soprattutto perché responsabile della comparsa di cistiti  ricorrenti.  Anche nella cura delle malattie dell’intestino si può far ricorso a gemmoderivati: qualsiasi sia la problematica da affrontare, generalmente il trattamento delle  patologie a carico dell’organo è sempre caratterizzato dalla presenza di vaccinium vitis-idaea, un gemmoderivato che poi di volta in volta viene associato ad altri preparati  della stessa specie (o anche fitoterapici) a seconda della problematica che si  vuole affrontare. Nel caso di disbiosi indicato è lo juglans regia, contro le infiammazioni invece è da preferire l’acer campestre. Se poi la colite è causata da ristagno e poca motilità determinate da eccesso di freddo, il gemmoderivato  più adatto è l’alnus glutinosa.  Una precisazione è di dovere: generalmente quando vengono accoppiati gemmoderivati  e fitoterapici l’effetto è maggiore.  Esistono inoltre piante in grado di aumentare la secrezione biliare e quindi  fornire aiuto al processo digestivo. Una di queste è la curcuma, ma anche il carciofo, il tarassaco, il boldo (una pianta di origine sud americana) e la menta sono in grado di agire sul fegato. Tutte queste piante possono essere consumate  sotto forma di tisane, in formulazioni composte unite ad altre droghe specifiche, come coadiuvanti  del processo digestivo nei soggetti che tendono ad avere problemi in tal senso.  È importante però sottolineare come l’assunzione di tali erbe possa essere rischiosa  per chi soffre di calcoli alla cistifellea, ecco perché è necessario essere prudenti  e rivolgersi al medico o all’erborista per un consiglio in tal senso.
In generale, concludendo, è bene specificare che, sia nel caso dell’intestino  che dello stomaco, quando il disturbo è di origine nervosa, le piante che vengono  in soccorso, da assumere come rilassanti e per combattere lo stress e la tensione  sono le classichebiancospino e passiflora (in dosaggi bassi) ma predilezione deve essere data allamelissa, rilassante muscolare che agisce anche sulle pareti dello stomaco, sia sotto  forma di tisana che come tintura.

RIFLESSOLOGIA PLANTARE

La riflessologia plantare è una tecnica curativa che prende spunto dall’antica medicina tradizionale cinese,  e si basa sui concetti di riflessologia ed energia. Il principio di base è quello secondo cui sulla pianta del piede si riflette  ogni altra parte del nostro organismo, come se si trattasse di una specie di mappatura  di ogni singolo organo interno o apparato. In termini più scientifici, si può  dire che ogni zona della pianta del piede è connessa, tramite una terminazione  nervosa, a una parte della colonna vertebrale, che a sua volta la mette in contatto  con un organo. Di conseguenza, ogni tipo di stimolazione o manipolazione eseguita su una parte del piede si  andrà a riflettere, con effetti positivi o negativi, sull’organo a essa collegato.
In realtà la stessa zona plantare può essere stimolata per molteplici terapie,  poiché queste zone non solo corrispondono a una specifica parte dell’organismo,  ma presiedono anche a funzioni più generali, che sono indicate dalla medicina  tradizionale cinese. Così, ad esempio, la zona che corrisponde alla testa può  essere stimolata positivamente per risolvere problemi di cefalea, ma anche per  una terapia indirizzata a un riequilibrio psichico. Allo stesso modo la zona che  corrisponde ai polmoni servirà sia a correggere la funzione respiratoria sia,  seguendo i canoni della medicina cinese, a effettuare un’azione antistress.
Ognuna di queste parti della pianta del piede può essere stimolata singolarmente  o contemporaneamente ad altre zone, secondo il principio dell’insieme riflesso, vale a dire di tutte le zone che trattate insieme permettono una specifica  azione di riequilibrio energetico e di miglioramento di determinati apparati o  funzioni. Quando si stabilisce un determinato insieme riflesso, è necessario prendere  in considerazione sia le zone ad azione generale sia quelle che intervengono in  maniera più mirata sullo specifico problema da risolvere, tenendo presente che  non si dovrebbe superare il limite delle 8-10 zone da trattare contemporaneamente.  Per esempio, qualora si voglia intervenire su uno stato di stress psicofisico,  con manifestazioni di astenia, ansia, difficoltà nella concentrazione e insonnia,  si dovrà intervenire su sei zone, che presiedono testa, polmoni, cuore, pancreas,  reni e colon discendente.
trattamenti di riflessologia plantare vengono effettuati da specialisti che conoscono a fondo tutte le problematiche  relative alla riflessologia, all’energia e sono esperti di medicina tradizionale  cinese. L’unico neo è che si tratta di prestazioni per forza di cose occasionali,  che otterrebbero risultati senz’altro più incisivi se potessero essere protratte  nel tempo.